La responsabilità delle parole
La parola che Hurbinek ci ha consegnato quest’anno è Ghetto. È una parola “pesante” e stratiforme, che ne contiene altre. Una parola ruvida e aspra, come ruvida e aspra è la parola verità che l’esistenza stessa di Hurbinek reclama e impone di continuare a cercare.
Solo a pronunciarla incute timore e atterrisce. Per il suo passato multiforme e tragico e, forse, ancor più per il suo futuro a dir poco “luminoso”, visto quanto siamo bravi, noi sapiens, a ramificarla e incistarla nelle viscere del nostro presente.
Per questi motivi, non possiamo non ascoltarla e accoglierla. Con un unico scopo: quello di rifletterci sopra, senza supponenza e presunzione, come si deve fare ogni volta che si prova a capire parole e cose difficili. E lo faremo come lo scorso anno, dando spazio ad altre parole: alle parole delle lezioni civili, del teatro, della musica, dei laboratori scolastici. A una pluralità di voci. Convinti che nella molteplicità risieda l’antidoto ai dogmatismi e ai fondamentalismi.
Di questa varietà e intreccio di parole ed esperienze abbiamo urgente bisogno. Oggi più che mai: quando è sempre più sotto gli occhi di tutti che l’animale-uomo che siamo diventati sta perdendo – o forse ha già perso – la capacità d’imparare dagli orrori del proprio passato.
Hurbinek, il bambino “figlio di Auschwitz”, sta dalla parte delle vittime innocenti, chiunque esse siano. E noi con lui.
Massimo Bucciantini